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Supplement to the Italian archivists

BRUNA LA SORDA bruna.lasorda@gmail.com

ANAI Associazione nazionale archivistica italiana

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Archivi: superare il divario culturale è anche una questione di identità professionale

Introduzione

Anche per la professione archivistica, superare il divario culturale che la separa dalla concreta percezione della sua funzione strategica in ogni ambito, significa definire un’identità specifica che passa attraverso il riconoscimento professionale. L’identità professionale è cosa delicata e complicata perché implica un cambiamento di visione diffuso e l’introduzione di modelli culturali e di valori condivisi al di fuori della comunità di riferimento.

Significa farli accettare in modo diffuso a livello culturale, politico, istituzionale, lavorativo e civile delineando competenze, abilità e conoscenze che siano realmente riconosciute e ritenute indispensabili nei diritti, nei processi e nei servizi che regolano la nostra esistenza. Significa inoltre creare percorsi e cogliere opportunità da perseguire con pazienza e determinazione, uniformarli via via alla realtà che ci circonda, proporli nelle sedi giuste e farli accettare, consapevoli che non c’è mai un punto di arrivo, ma solo un passo in più e sapendo bene che tra l’affermazione di principi e la reale applicazione degli stessi nel mondo concreto c’è ancora un divario forte da colmare.

Il primo passo è la condivisione della visione all’interno della comunità di riferimento: essere cioè consapevoli e sicuri di avere una forte base disciplinare su cui far conto e di avere coscienza e conoscenza della propria professione e della sua evoluzione in tutti gli aspetti.

L’intervento intende ripercorrere il ventennale processo di riconoscimento dell’identità e della funzione della professione archivistica analizzando le principali norme di legge di riferimento nella nostra realtà nazionale.

Un processo nel quale ogni azione ha avuto un suo significato e ha posto punti fermi, riconosciuti a livello normativo, in grado di presidiare i campi tradizionali e innovativi della professione, ma che  tuttavia necessita di un continuo monitoraggio e lavoro di affinamento per portare la nostra professionalità verso nuove funzioni riconosciute, a livello politico e sociale, in relazione ad un contesto in cui i confini professionali si aprono sempre più alla cooperazione, alla trasversalità e a una progettualità che mette insieme competenze tecnico professionali differenti, adeguato ad esigenze di domanda e offerta, di formazione, di aggiornamento e al passo con un contesto economico basato sulla conoscenza, sulle tecnologie digitali, sullo scambio di dati e informazioni, sulla crescente richiesta di professionalizzazioni certe e la definizione di abilità non solo cognitive ma anche relazionali.

Il riconoscimento della professione a livello normativo. Una premessa storica

La figura dell’archivista ha rappresentato da sempre una professione con una posizione ben definita all’interno degli istituti di conservazione e di tutela in riferimento alla declinazione della professione in senso tradizionale. Sostenuta da una consolidata disciplina, dalla ricchezza di un patrimonio documentario di eccezionale valore storico e da una normativa che attribuiva la conservazione degli archivi degli organi centrali e periferici dello stato all’Archivio centrale dello Stato e agli Archivi di Stato e la vigilanza e la tutela sugli archivi degli enti pubblici e sugli archivi privati dichiarati di importante interesse storico alla Soprintendenze archivistiche,   la professione si è svolta in passato in ambiti per lo più conclusi in sé.

Il percorso del riconoscimento dell’archivistica come scienza e degli archivisti non come semplici collaboratori degli storici, ma come veri professionisti “dell’archivistica”, è stato lungo e ancora oggi forse poco noto e poco riconosciuto al di fuori della comunità di riferimento o della comunità che degli archivi ne fa largo uso tanto che non è raro il caso in cui si potrebbe riproporre la constatazione di Giovanni Vittani che nel 1910 diceva che molti “ne hanno un’idea tanto vaga da confonderli colle biblioteche”[1].

Di questo difficile percorso ne è testimonianza il dibattito che già dagli ultimi anni dell’800 e per tutto il ‘900 si è sviluppato intorno al tema dell’archivistica come scienza autonoma[2], della sua qualificazione scientifica e del lavoro scientifico degli archivisti, in cui si precisò e si affermò la dignità della scienza archivistica e che fece affermare ad Eugenio Casanova che l’archivistica “è una scienza ormai affermata e suscettibile di progresso e, quindi, campo di ricerca e di studi, come qualunque altro ramo dello scibile”[3].

Oltre alla riflessione teorica sulla materia che ha permesso l’elaborazione di principi “universalmente validi”,  anche fattori come lo spostamento dell’asse dell’attività degli archivisti dai documenti medievali ai grandi complessi dell’età moderna e contemporanea fecero sì che si affermasse l’autonomia della scienza archivistica e che si spostasse l’attenzione per l’insegnamento dell’archivistica anche sulle problematiche relative agli archivi correnti e di deposito creando così archivisti che, accanto a competenze di tipo storico-letterario-filosofico, ne possedessero altre di tipo giuridico-amministrativo in un’ottica archivistica, ossia di produzione ed organizzazione dei fondi archivistici delle istituzioni politiche e amministrative nazionali, e arrivando al concetto ancora più avanzato di concepire la storia delle istituzioni come parte dell’archivistica denominata da Cencetti “archivistica speciale”.

Viene così affermandosi l’idea di una professione altamente scientifica e tecnica con competenze trasversali che sia in grado di affrontare sulla base di una scienza matura le problematiche legate all’attività delle istituzioni che si riflette nella produzione documentaria. I luoghi della formazione sono le Università e le Scuole d’Archivio.

La riflessione teorica e il progredire della scienza hanno avuto inizialmente riflessi soprattutto nell’attività professionale degli archivisti inseriti in ambito istituzionale come dimostra sia il Regio Decreto 2 ottobre 1911, n. 1163 in cui sono specificati i requisiti formativi e le funzioni per gli archivisti di stato, sia il successivo Dpr. 30 settembre 1963, n. 1409.

Il quadro istituzionale per lo sviluppo professionale e il ruolo dell’ANAI

L’istituzione nel 1974 del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali vide il passaggio della dipendenza dell’amministrazione degli archivi di Stato dal Ministero dell’Interno al nuovo ministero. Un passaggio che determinò un nuovo modo di intendere e di esercitare la professione archivistica che si aprì alla ricerca di figure esterne per attività di supporto ed integrazione a quelle espletate dai funzionari tecnici dell’amministrazione dei beni culturali.

Accanto agli archivisti di Stato, entrati in carriera mediante concorso pubblico e per lo più formatisi presso le Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica istituite presso gli archivi di Stato dei capoluoghi nazionali, si affiancarono così professionisti esterni alla pubblica amministrazione, ponevano in una sorta di zona grigia, non del tutto votati ad una attività imprenditoriale in senso stretto, a parte le prime forme di cooperative, legata per lo più alla sola committenza istituzionale.

E’ stato questo un passaggio molto importante nella definizione di un’identità professionale, poiché se da un lato in quegli anni ha rappresentato per i professionisti una forma di praticantato, una lacuna di sistema, che solo per pochi si è tramutato in un lavoro definitivo presso il Ministero, dall’altro ha rappresentato un momento altamente formativo grazie allo scambio di saperi, uno stimolo alla formazione continua, una forza professionale sempre più autonoma che col tempo ha cercato una sua collocazione nel mercato del lavoro, rivolgendosi a settori diversi, insistendo sull’importanza del valore degli archivi in ogni settore, disseminando le conoscenze tradizionali e innovative che via via erano divenute sempre più necessarie per lo svolgimento dell’attività professionale.

In sintesi anche questo passaggio, accanto alle riflessioni teoriche sulle nuove sfide dell’archivistica, ha contribuito in modo determinante a sensibilizzare il mondo esterno verso una cultura dell’archivio come risorsa, fattore dinamico in tutte le attività, oltreché come memoria che necessita per la sua gestione e conservazione di figure professionali qualificate.

A dimostrazione di questo anche l’Associazione nazionale archivistica italiana, ANAI, nata nel 1949, negli anni ha visto la sua progressiva trasformazione da associazione di archivisti di stato ad associazione di tutti gli archivisti.

La spinta alla digitalizzazione fu però il vero punto di svolta poiché l’archivistica, e di conseguenza la professione intesa in tutte le sue declinazioni, fu oggetto di una profonda riflessione in primo luogo teorica e poi organizzativa.

La dimensione digitale degli archivi: una sfida per la professione

Il digitale portava con sé la necessità di un sapere nuovo all’altezza dei tempi del cambiamento tecnologico che si andava ad affrontare, con il compito di disseminare le conoscenze teoriche e metterle in atto con azioni pratiche. I grandi progetti di digitalizzazione della fine degli anni 90 e per una quindicina di anni hanno visto gli archivisti dotarsi di nuove competenze e lo sviluppo di sistemi capaci di rendere fruibile il patrimonio archivistico a un pubblico virtuale sempre più vasto, il tutto sostenuto da un crescente impegno di sensibilizzazione verso l’esterno dell’importanza del valore dell’archivio, quello delle pubbliche amministrazioni così come quello tutelato e di tutte le altre realtà,  in tutte le fasi del suo ciclo di vita.

L’innovazione tecnologica ha quindi posto una serie di “analisi e di riflessioni che, a partire dai principi e dai concetti tradizionali e dalla loro verifica sul piano metodologico e della prassi archivistica”, potessero chiarire “la coerenza degli strumenti sviluppati per la formazione, gestione e conservazione dei documenti per confermarne la validità nella dimensione tecnologica”[4], in relazione alla produzione di archivi contemporanei e alla gestione dei sistemi documentari affidabili anche in ambiente digitale.

Su questa spinta, oltre all’evoluzione della normativa italiana in materia di archivi correnti e all’utilizzo degli standard internazionali e linee guida nazionali, il riconoscimento per l’esercizio della professione a livello normativo si è sviluppato in un percorso più che ventennale, seppur con ritardi e ambiguità, dettato anche dal confronto sempre più pressante con altri profili professionali che concorrevano alla costruzione di programmi di gestione documentaria. Definire ruoli e specifiche competenze, individuare percorsi innovativi formativi all’altezza della sfida della transizione digitale, è diventato così necessario per delimitare gli ambiti di intervento, aprire un dialogo costruttivo con le discipline che operano in campi affini, produrre informazioni di qualità e documentazione giuridicamente rilevante.

Il contesto normativo nazionale (2000-2020): il riconoscimento formale di archivisti e manager

A partire dagli anni 2000 si assiste infatti all’ inserimento del riferimento di una figura professionale debitamente formata in ambito archivistico per ciò che attiene la gestione informatica dei documenti, dei flussi documentali e degli archivi.

Il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che introduce le disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa e che raccoglie e coordina, da un lato, le norme in materia di documentazione amministrativa e, dall’altro, le norme in materia di redazione e gestione dei documenti informatici, specifica, a livello normativo, all’art. 61 (Servizio per la gestione informatica dei documenti dei flussi documentali e degli archivi), comma 2, che:

2. Al servizio è preposto un dirigente ovvero un funzionario, comunque in possesso di idonei requisiti professionali o di professionalità tecnico archivistica acquisita a seguito di processi di formazione definiti secondo le procedure prescritte dalla disciplina vigente”.

Il Testo Unico riprende quanto già stabilito nel DPR. 428/1998 dove tale requisito era già enunciato all’art. 12.

Seppur la norma richiama l’attenzione sulla documentazione delle amministrazioni pubbliche, di fatto in quegli anni l’amministrazione archivistica ha imposto in modo rivoluzionario e ha disseminato il principio fondamentale che un archivio digitale, al pari di quello analogico, non può essere progettato, gestito e conservato senza la presenza della figura dell’archivista anche in ambiti diversi da quelli della pubblica amministrazione. Lo sforzo fondamentale è stato quello di introdurre nuove e avanzate competenze nella professione archivistica per essere in grado di affrontare la transizione digitale a cui tutte le realtà hanno dovuto uniformarsi sia in ambito pubblico che privato.

Nascono così nuove declinazioni della scienza archivistica, l’archivistica informatica, e della professione archivistica in grado di aiutare altre figure coinvolte nel processo di trasformazione degli archivi, come per esempio il digital curator, espressione con la quale si definisce una nuova figura professionale in grado di assicurare la corretta formazione, gestione e conservazione di risorse documentarie digitali e che obbliga a ripensare l’insieme delle competenze, conoscenze e abilità del bagaglio professionale degli archivisti a cui affidare le memorie digitali.

Nel D.Lgs.  42/2004, (Codice dei beni culturali e del paesaggio) si riconoscono gli archivi correnti e di deposito come beni culturali soggetti a tutela e vigilanza da parte delle istituzioni archivistiche e si definiscono disposizioni sanzionatorie che mancavano nel sistema precedente di tutela[5].

Tali disposizioni hanno creato i presupposti per creare un’identità più forte della professione archivistica che, come vedremo in seguito, verrà meglio specificata anche a livello normativo.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) è un testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese.

In particolare l’art. 41 del CAD tratta del Procedimento e del fascicolo informatico in cui si afferma al comma 2-bis che “le regole per la costituzione e l’utilizzo del fascicolo sono conformi ai principi di una corretta gestione documentale e alla disciplina della formazione, gestione e conservazione e trasmissione del documento informatico, ivi comprese le regole concernenti il protocollo informatico…”, operando così un tacito raccordo anche con l’art. 61, commi 1 e 2 del DPR. 445/2000 e fermo e restando quanto disposto dal D.Lgs. 42/2004 all’art. 10, lett. b.

Il dpcm 3 dicembre 2013, artt. 3 e 4, che riprende le precedenti Regole tecniche contenute nel dpcm 30 ottobre 2000, specifica meglio la figura del Responsabile del servizio, e assegna al Coordinatore della gestione documentale il compito di definire e assicurare criteri uniformi di trattamento del documento informatico e, in particolare, di classificazione ed archiviazione, nonché di comunicazione interna tra le aree organizzative omogenee.

Inoltre l’art. 44 del CAD, che tratta dei Requisiti per la conservazione dei documenti informatici mette in evidenza la funzione del responsabile del servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi che, come visto, deve essere in possesso di idonei requisiti professionali o di professionalità tecnico archivistica.

Le Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici (2020)[6], riaffermano il principio dei requisiti professionali o di professionalità tecnico archivistica per il Responsabile della gestione documentale in particolare alla sezione 3. 4 “Compiti del responsabile della gestione documentale” che richiama al servizio di cui all’articolo 61 del TUDA, e la sezione 4.4. “Conservazione. Ruoli e responsabilità” che prevede che il responsabile della conservazione della pubblica amministrazione operi d’intesa con il responsabile della gestione documentale. Le Linee guida 2020 stabiliscono che anche il responsabile della conservazione deve avere competenze archivistiche.

Principi europei e legislazione e standard italiani per la qualificazione professionale: le pietre miliari

Su un piano della qualificazione professionale in una prospettiva di mercato unico del lavoro in adeguamento alle direttive europee, l’anno 2013 vede l’emanazione di due norme importanti: la L. 14 gennaio 2013, n. 4 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate) e la Dlgs. 16 gennaio 2013, n, 13 (Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della legge 28 giugno 2012, n. 92).

La legge 4/2013 è volta a regolamentare le professioni non organizzate in ordini e collegi e ad assicurare la trasparenza del mercato e la tutela di coloro che usufruiscono dei servizi professionali di natura intellettuale. La disciplina individua tre sistemi per l’autoregolamentazione dei professionisti: autodichiarazione, attestazione da parte delle associazione di riferimento e certificazione rilasciata dagli organismi accreditati.

La legge, dunque, ancorché pensata per la trasparenza del mercato e la tutela dell’utenza e non vincolante per l’esercizio della professione (ognuno sotto la sua responsabilità può dichiararsi professionista nel rispetto del Codice del Consumo), porta in sé elementi di grande innovazione perché mette ordine nel complesso sistema delle professioni intellettuali e introduce un moderno sistema duale in cui le professioni libere e le loro associazioni coesistono con le altre professioni intellettuali regolate dalla legge in un albo, ordine o collegio.

La norma va letta nell’ambito del modello europeo in tema di qualificazione della professione nato dallo sviluppo delle attività economiche e dalla mobilità dei professionisti all’interno del mercato unico che ha posto l’urgente problema del reciproco riconoscimento delle professioni in termini di conoscenze e competenze e mette al centro la qualità dei servizi e la regolamentazione del mercato.

Il Dlgs. 13/2013 “definisce – ai sensi dell’art. 4, commi 58 e 68 della legge n. 92/2012  di riforma del mercato del lavoro – le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti informali e non formali, con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze, al fine di promuovere la crescita e la valorizzazione  del patrimonio culturale e professionale  acquisito dalla persona nella sua storia  di vita, di studio e di lavoro, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità. Nasce così l’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni che è “una mappa dettagliata del lavoro e delle qualificazioni.

Appare quindi evidente come sia importante presidiare un campo così delicato come quello del Quadro Nazionale delle Qualificazioni per ribadire i requisiti formativi e professionali dell’archivista non solo nei settori tradizionali, ma anche in quelli più avanzati e suscettibili di ulteriori declinazioni.

Sul piano dell’identità professionale l’anno 2014 segna una tappa importante con la Legge 22 luglio 2014, n. 110 (Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti) e la Norma UNI 11536 (Qualificazione delle professioni per il trattamento dei dati e dei documenti. Figura professionale dell’archivista. Requisiti di conoscenza, abilità e competenza), pubblicata nel luglio del 2014 e attualmente in fase di revisione.

L’art. 1 della L. 110/2014[7] introduce l’articolo 9-bis del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali  [8] e all’art. 2 comma 1[9] istituisce gli elenchi di esercitare nazionali relativi. Tali elenchi sono da pubblicarsi nel sito del MIBACT (ora MIC) e la non iscrizione degli stessi non preclude la possibilità la professione[10]. Si tratta di un provvedimento importante che stabilisce il principio che “gli interventi operativi di tutela, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali sono affidati alla responsabilità e all’attuazione”[11] di esperti di settore.

La Norma UNI 11536:2014 è “lo standard italiano pubblicato dall’UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e mirato a individuare le caratteristiche di rilievo del profilo professionale archivistico. Per la prima volta una norma tecnica definisce in maniera formale le competenze, la abilità e le conoscenze necessarie per essere un archivista. Come tale, il documento può essere usato per diverse finalità, dall’aggiornamento e riprogettazione di percorsi formativi e professionali, alla sensibilizzazione sul ruolo degli archivisti nei processi informativi e documentali”[12]. Punto di partenza è il modello europeo EQF “visto come un’opportunità per riconsiderare le attività archivistiche sotto una luce differente e al contempo aderire a un progetto culturale, educativo e sociale di ampio respiro, proiettando gli archivisti all’interno di uno spazio d’azione europeo”[13].

La disciplina attuativa della L. 110/2014, nonostante la previsione di una sua emanazione 6 mesi dopo l’entrata in vigore del provvedimento, è stata varata nel 2019 con il D. M. 20 maggio 2019 REP. 244 (Procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi della legge 22 luglio 2014, n. 110), con il quale si stabiliscono le modalità e i requisiti per l’iscrizione dei professionisti negli elenchi nazionali.

Viene qui espressa la volontà di superare ambiguità interpretative sui compiti, sulle competenze, sulle attività e sulle conoscenze relative al profilo dell’archivista e assimilano anche una terminologia comune che dovrebbe, anche in questo caso, mettere a riparo da fraintendimenti rispetto ad altre figure professionali emergenti che, pur definendosi con denominazioni diverse, svolgono le medesime attività individuate.

Con il D.M. 1 ottobre 2021, n. 241Regolamento concernente le funzioni, l’organizzazione e il funzionamento delle Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica degli Archivi di Stato, in attuazione dell’articolo 9, commi 3 e 4, del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 [14] si è messa in atto una riforma attesa da anni che finalmente si allinea alle mutate esigenze di formazione degli archivisti rispetto all’evoluzione della disciplina e all’evoluzione del mercato del lavoro e che assicura qualità dei contenuti, della selezione e delle verifiche.

Conclusioni

Su questa linea immaginaria del tempo sono stati dunque individuati i riferimenti normativi più importanti a livello nazionale e in raccordo con le normative europee che negli ultimi venti anni hanno posto punti fermi per quel che riguarda la definizione del profilo dell’archivista, del suo ruolo e delle sue funzioni.  Si è messa in evidenza l’evoluzione della scienza archivistica e l’introduzione di modelli di rappresentazione, standard che hanno contribuito ad arricchire le competenze degli archivisti in relazione alla dimensione digitale sia per quanto riguarda l’attività di progettazione, gestione e conservazione degli archivi sia per quanto riguarda l’attività di rappresentazione del patrimonio documentario.

Si è messo in evidenza lo sforzo di armonizzare le norme giuridiche per quanto riguarda l’attività archivistica e la ricaduta concreta nella dimensione professionale. Sotto questo aspetto il nostro mondo professionale è cresciuto moltissimo e il cambio di visione della professione è in atto ed è in continuo movimento. Tuttavia ciò che abbiamo raggiunto non è un punto di arrivo. La velocità di trasformazione del mondo del lavoro, la dimensione sempre più trasversale e transdisciplinare che caratterizza oggi le attività legate al mondo dell’informazione e dei dati e del loro riuso nella trasformazione digitale, l’irruzione di nuove tecnologie impongono ancora una volta un ripensamento dei modi, dei processi e delle competenze di cui necessariamente l’archivista deve dotarsi in un processo di condivisione intelligente e in un contesto di conoscenza codificata, non tacita, per produrre altra conoscenza di qualità.

In una linea del tempo immaginaria allora è importante delineare gli obiettivi che devono essere messi in atto: qualità professionale e alta specializzazione, formazione accademica legata al mercato del lavoro,  formazione continua, conoscenze e competenze alternative, ascolto, comunicazione, dialogo costante con altre professionalità, capacità di risolvere i problemi in modo veloce e adeguato, capacità di interpretare i bisogni dell’azienda/ente/utenza, capacità di fare squadra e sapersi adeguare, comprensione reale come atteggiamento a cui tendere.

Non esiste una formula magica per capire quali saranno le prospettive future, ma esiste in primo luogo la consapevolezza di chi siamo e come giorno per giorno affrontiamo i cambiamenti velocissimi ed esiste l’attenta osservazione di cosa succede intorno a noi, di come si evolvono la società, le tecnologie, il contesto normativo con una capacità di proiezione del nostro lavoro nel futuro.

Le prospettive sulla nostra professione saranno dettate dalla capacità di osservazione e di riflessione su questi fenomeni e nel dedurre cosa ci permetterà di essere competitivi e al passo con i tempi. La tempestività delle nostre azioni sarà decisiva. La professione archivistica è una professione in movimento pur mantenendo principi e identità imprescindibili, perché già in questo presente sperimenta attività nuove e possibili ed è in grado di valutare di quali aggiornamenti, di quali nuove competenze deve dotarsi in nuovi contesti anch’essi in movimento e in movimento veloce e quali sono le criticità presenti e future per determinare modifiche e cambiamenti che dobbiamo esigere. Alta attenzione e pragmatismo sono le parole chiave.

Ma soprattutto occorre un’instancabile lavoro di comunicazione esterna in ogni realtà della società civile riducendo la distanza che ci separa dalla persona, dal cittadino, dalla scuola, dal circolo più popolare attraverso un linguaggio semplice e perciò rivoluzionario e attraverso il racconto di fatti, di diritti, di ricordi universali e personali in grado di suscitare emozioni nelle quali ogni singolo individuo possa riconoscersi. E per superare il gap culturale nella dimensione dell’identità professionale che travalichi la dimensione professionale e arrivi alla dimensione sociale, la parola chiave potrebbe essere empatia archivistica.


[1] Cfr. Elio Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, Milano, 2000, p. 400

[2] Cfr. Elio Lodolini, Lineamenti di storia dell’archivistica italiana, Roma, 1996; Elio Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, Milano, 2000

[3] Ibidem, p. 239

[4] M. Guercio, Archivistica informatica, Roma, 2013, p. 13

[5] Riferimento alle norme che nel tempo sono state emanate per la gestione degli archivi correnti e di deposito nelle amministrazioni statali: R.D. 25 gennaio 1900 preceduto da una serie di dettagliate disposizioni relative ad archivi di istituzioni diverse (prefettura con la circolare del 25 luglio 1887, di pubblica sicurezza con la circolare del 16 settembre 1887, dei Comuni con la circolare del 1° marzo 1897, n. 1700); il D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 e D.Lgs. 490/1999

[6]Le Linee Guida, che si compongono di sei allegati tecnici, sono state emanate dopo avere seguito la procedura conforme alle indicazioni dell’art. 71 “Regole tecniche” del Codice dell’Amministrazione digitale (CAD) e hanno il duplice scopo di aggiornare le regole tecniche attualmente in vigore sulla formazione, protocollazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, già precedentemente regolate nei DPCM del 2013 e 2014; – fornire una cornice unica di regolamentazione per le regole tecniche e le circolari in materia, in coerenza con le discipline dei Beni culturali

[7]Entrata in vigore del provvedimento 23.08.2014

[8]«Art. 9-bis (Professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali): 1. In  conformità  a  quanto  disposto  dagli articoli 4 e 7 e fatte salve  le  competenze  degli  operatori  delle professioni già regolamentate, gli interventi operativi  di  tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché  quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione  dei  beni  stessi,  di  cui  ai titoli I e II della parte seconda del presente codice, sono  affidati alla responsabilità  e  all’attuazione,   secondo   le   rispettive competenze,     di     archeologi,     archivisti,      bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi  fisici,   restauratori   di   beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti  di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni  culturali  e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione  ed  esperienza professionale»

[9]“1. Sono istituiti presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi del comma 2”

[10] “3. Gli elenchi di cui al comma 1 non costituiscono sotto alcuna forma albo professionale e l’assenza dei professionisti di  cui  al comma  1  dai  medesimi  elenchi  non  preclude  in  alcun  modo   la possibilità di esercitare la professione”

[11]https://temi.camera.it/leg17/temi/le_professioni_dei_beni_culturali (ultimo accesso06.09.2022)

[12] G. Michetti, Abstract articolo consultabile in: http://hdl.handle.net/11573/942787 (ultimo accesso 06.09.2022)

[13] G. Michetti, La norma UNI 11536 sulla figura professionale dell’archivista, in Bibliotecario e archivista nelle norme Uni 11535:2014 e UNI 11536:2014, AIB studi, 2015, p. 125

[14]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/02/07/22G00013/sg(ultimo accesso 06.09.2022)

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